Il tesoro di Pescocostanzo Luigi Di Tella, Pescara, 1991
[I ed.] Compagnia dei Trovatori Napoli,
2007 [II ed.]
Che cosa c'era di così attraente in una comunità di poche centinaia di abitanti arroccata fra le montagne (allora) impervie, a 1400 metri di altezza? Prima risposta: era di strada. Una sorta di stazione di posta che legava Napoli, via via
angioina, aragonese, vicereale e borbonica, prima a Firenze e poi a Milano, Bologna e Venezia. Pescocostanzo si collocava nel bel mezzo di quella "via degli Abruzzi" fra Nord e Sud, scelta dai mercanti e diplomatici fiorentini e napoletani per scansare Roma, le sue paludi, i suoi briganti e forse soprattutto il… papa. Ok dunque per la stazione di posta. E poi? Uno si ferma, si rifocilla e prosegue. A Pescostanzo no. Perché man mano si va formando una classe artigianale coi fiocchi, come a quei tempi (ed anche dopo) non se ne trovano di eguali in altra parte d'Italia.
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Ho detto proprio classe artigianale, che or ora diventa borghese, ecclesiastica, aristocratica.
Dal binomio agiatezza e cultura deriva la ricca committenza d'arte. Qui, a
Pescostanzo, c'è la pietra per i marmorari e gli architetti, qui il legno per gli intagliatori, gli intarsiatori, i falegnami, e si fa venire da fuori il ferro per "battere" e modellare austere cancellate, balconi barocchi, ascetiche grate; l'oro e l'argento per tesserne in filigrana le trame più delicate; il refe per il tombolo. Qui la lana (con gli armenti è di casa) che le donne piegano alla tessitura dei tappeti. Il libro ha un andamento narrativo da thriller incalzante di una vera e propria "caccia al tesoro"
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